Chiesa San Bernardino

Isa Guidi, classe 1927, ha sempre vissuto in via Bertola, nel centro storico di Rimini. Sopravvissuta alla strage di San Bernardino del 28 dicembre 1943, in cui persero la vita 56 persone, racconta come a salvarla fu il suo istinto, una sorta di sesto senso, che la portò a fuggire da quello scantinato in cui tanti si erano rifugiati.

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Rifugio San Bernardino

“ – Marisa, dov’è Elio?

– Mah! Elio era qui vicino, qui vicino. E vicino c’erano solo macerie.”

E’ così che Aronne Valmaggi scopre la morte del fratello Elio nel bombardamento del 28 dicembre 1943, sepolto vivo insieme ad altre 56 persone dentro al rifugio antiaereo di Vicolo San Bernardino, in quello che risulta essere il maggior eccidio causato dai bombardamenti a Rimini.

Ester Benedettini, una dei due sopravvissuti, racconta: “Sono andata al rifugio della Piazzetta San Bernardino con la mamma e l’altra sorella; abbiamo sentito la prima ondata e con la seconda è crollato tutto […] Non si sentiva più niente, io non ho sentito più niente […] gli altri son morti tutti lì dentro”.

Il commissario prefettizio Ugo Ughi, nel suo rapporto del 2 gennaio 1944, in cui riferisce i danni dei bombardamenti del 28 dicembre e dei due giorni seguenti, scrive: “Rimini oggi è diventata una città morta”.  Nello stesso documento si riporta che l’incursione si verificò in due riprese, alle ore 11:30 e 12:30 da un’altezza di 6000 metri. Dai documenti ufficiali sappiamo che il bombardamento di quel giorno venne svolto con 21 aerei “B-24” e 105 aerei “B-17”, accompagnati da caccia “P-38”, che sganciarono oltre 306 tonnellate di bombe ad alto potenziale. Obiettivo dei bombardamenti: lo scalo e i ponti ferroviari. La dispersione delle bombe fu tale che alcune caddero ai piedi del colle di Covignano e altre a Igea Marina.