Video Interviste

In questa sezione sono raccolte le video interviste realizzate dal 2021 a testimoni oculari dei bombardamenti su Rimini. I protagonisti narrano dell’arrivo dei venti di guerra, dell’incredulità per quanto accadde, della distruzione quasi totale della città e dello sfollamento della popolazione a San Marino e nelle zone della Valmarecchia.

Luisa Paganini
Luisa Paganini, classe 1936, racconta come il primo bombardamento su Rimini accadde improvvisamente il primo novembre del 1943, il giorno dei Santi. Il padre di Luisa era andato a messa alle 11.00, presso Villa Assunta del dottor Contarini. Una bomba colpì in pieno la casa e il padre, rimasto sotto le macerie, fu miracolosamente estratto vivo. Rimase a lungo imprigionato lì sotto mentre con una mano sentiva la testa dell’infermiera vicino a lui, morta. Quel tragico accadimento portò la famiglia a scappare da Rimini cercando rifugio prima a Viserba, in riva al mare, poi nelle campagne limitrofe a Rimini, infine a Verucchio dove arrivarono il 31 dicembre del 1944. Mesi terribili, segnati da povertà e privazioni ma proprio in questa situazione scoprirono la solidarietà e l’amicizia con altre famiglie che diedero una speranza e un volto di umanità a quel lungo periodo trascorso lontano da Rimini. Finita l’estate, però, le cose precipitarono. Gli ultimi giorni di guerra si rifugiarono presso le gallerie di San Marino che erano già piene, colme di sfollati. Il rientro in città fu difficile: Rimini non era più riconoscibile.

Leda Amati
Leda Amati, classe 1927, il 10 giugno del 1940 ha saputo da una sua insegnate dell’ingresso in guerra dell’Italia. Con tono entusiasta l’aveva chiamata per strada per comunicarle quella notizia. Viale Mantegazza Era il primo novembre del 1943, alle ore 11.00, quando il primo bombardamento su Rimini rase al suolo la sua casa in via Mantegazza. Lei era sul terrazzo con in braccio il fratellino di 4 anni: stava parlando con la vicina. Improvvisamente righe nere solcarono il cielo e poi tutto scomparve. Lei riuscì miracolosamente a uscire in giardino con il bimbo in braccio e si accorse allora che la casa della vicina era scomparsa. Della via in cui abitava quelli che non erano sfollati erano quasi tutti morti: c’era corpi dilaniati sulla strada e in prossimità delle abitazioni.
Con la famiglia cercò rifugio nelle campagne di Santarcangelo, poi nelle grotte del paese. Mesi terribili, trascorsi in situazioni inenarrabili, scanditi da privazioni, fatiche e paure. Appena si diffuse la notizia che la guerra era finita si incamminarono subito, a piedi, verso Rimini. La città era totalmente trasformata. La distruzione aveva modificato l’assetto urbano. Girare per Rimini era una cosa terribile.

Sergio Morri
Sergio Morri, classe 1932, era all’angolo di via Clodia il primo novembre del 1943, il giorno del primo bombardamento su Rimini. Era nel cuore della città, nei pressi della vecchia Pescheria, quando il 28 di dicembre furono bombardati il Teatro Galli e Palazzo Garampi. Rimase illeso, miracolosamente, in entrambe le occasioni. Gli occhi del bambino di allora rivedono ancora in maniera chiara e lucida ogni particolare di quegli episodi. Sfollati si rifugiarono prima a Mulazzano, poi nella Galleria Santa Maria di San Marino dove passarono ben 22 giorni. Al rientro in città, subito dopo la liberazione, Rimini era un cumulo di macerie. Tutto o quasi era andato distrutto. Il centro era irriconoscibile: si camminava a stento tra i detriti.

Orazio Giolitto

Orazio Giolitto, classe 1929, è sopravvissuto a due dei più terribili bombardamenti che colpirono la città di Rimini nel 1943. Una storia incredibile, ricca di emozioni. Una testimonianza che coinvolge i luoghi simbolo della città di Rimini. Alla fine sfollò con la famiglia a Pennabilli e lì Orazio, giovane e impavido, con la collaborazione dei partigiani, fece arrestare due tedeschi.

Stazione ferroviaria
Il primo di novembre del 1943, il giorno del primo bombardamento su Rimini, era nei pressi della stazione ferroviaria, con la sorella. Tutto sparì in pochi secondi. Lei fu inghiottita in una buca, entrambi ricoperti di polvere e catrame riuscirono a mettersi in salvo nonostante la gamba rotta di lui. Furono portati all’Ospedale Murri.

Teatro Galli
Il 28 di dicembre dello stesso anno Orazio era nella sua abitazione, nei pressi del Teatro Galli. Rimase in piedi solo un angolo della casa. Rimini, dopo quel bombardamento, era una catastrofe. Ricorda ancora il padre implorante, mentre parlava con l’allora sindaco, cui chiedeva dove potesse portare in salvo la famiglia: sette figli erano tanti anche allora e non voleva che fossero divisi.

Giancarlo Sormani

Giancarlo Sormani, classe 1934 , ricorda ancora il momento esatto in cui, davanti alla radio, sentì la voce del Duce annunciare l’entrata in guerra dell’Italia. Era il 10 giugno del 1940. Da allora, lentamente, tutto cambiò. Prima ci fu il suono delle sirene, con le conseguenti fughe dal centro storico di Rimini verso le campagne, poi arrivarono i bombardamenti che colsero la popolazione incredula e completamente spiazzata.

Il 28 dicembre del 1943 Rimini era persa, deserta. La maggior parte della popolazione si era rifugiata nelle campagne per scampare ai bombardamenti eppure la vita, in città, continuava per quelle attività e servizi che solo qui si potevano trovare. Erano quindi molti i pendolari giornalieri che si spostavano con il trenino di Porta Montanara tra Rimini e la Valmarecchia.

Porta Montanara
La stazione di Porta Montanara era il punto di ritrovo per chi, di giorno, andava e veniva dalla città. I ricordi dei viaggi stipati nelle piccole carrozze, dei racconti tra il pianto inconsolabile delle donne è lucido e struggente. Sui quei binari, in quei vagoni, i riminesi raccontavano le loro giornate di guerra: privazioni, miseria, distruzione, famigliari perduti sotto i bombardamenti. Erano momenti di condivisione, di scambio reciproco di informazioni e di profondo dolore.

Isa Guidi

Isa Guidi, classe 1927, ha sempre vissuto in via Bertola, nel centro storico di Rimini. Sopravvissuta alla strage di San Bernardino del 28 dicembre 1943, in cui persero la vita 56 persone, racconta come a salvarla fu il suo istinto, una sorta si sesto senso, che la portò a fuggire da quello scantinato in cui tanti si erano rifugiati. Cercò di convincere i suoi amici a seguirla ma, arrivati in via Garibaldi, decisero di tornare indietro. Tornarono “indietro a morire”. Dopo il bombardamento corse a vedere cosa fosse successo: aiutò ad estrarre i corpi di tutte quelle persone.